ARTE E SCIENZA

Che rapporto intercorre tra arte e scienza, tra fruizione ed empatia?

Riegl sosteneva che l’arte non può essere considerata tale senza il coinvolgimento emotivo e percettivo dello spettatore. Questi, infatti, partecipa all’esperienza artistica interpretando in modo personale l’immagine attribuendo ad essa un significato in base alle sue esperienze e aspettative.

Utilizzando le parole di Arnheim tale concetto risulta più evidente: “Ciò che si vede, dipende da chi sta guardando e da chi gli ha insegnato a guardare”.

Così l’artista, rappresentando nella sua opera le proprie esperienze e desideri, suscita un processo di riconoscimento, in parte conscio in parte inconscio, nel fruitore, che risponde emotivamente ed empaticamente all’immagine cui è posto.

L’oggetto artistico diviene, in tal modo, perno di una relazione intersoggettiva, sociale, che emoziona in quanto suscita risposte di natura sensorimotoria e affettiva nello spettatore. 

L’interazione sociale si serve inoltre dell’Imitazione, intesa come la capacità di riconoscere e simulare le azioni altrui, che porta all’Empatia (dal Greco “Sentire Dentro”).

Questa “sintonizzazione mentale” tra creatore e fruitore avverrebbe anche grazie a dei particolari gruppi di neuroni, chiamati “neuroni specchio”, scoperti da un gruppo di ricercatori del dipartimento di Neuroscienze dell’università degli studi di Parma, coordinato da G. Rizzolatti.

Per comprendere l’importanza di tale scoperta, vale la pena riportare le parole dello scienziato indiano S. Ramachandra secondo cui, “I neuroni specchio saranno per la psicologia quello che il DNA è stato per la biologia”.

Utilizzando una serie di microsensori, i ricercatori, hanno registrato nel cervello di scimmia l’attività di centinaia di neuroni che si accendono quando questa è impegnata nell’osservazione del comportamento delle altre scimmie. Tali scoperte sono state successivamente dimostrate anche nel cervello umano.

Questi neuroni si attivano sia quando si esegue un gesto finalizzato sia quando lo si osserva. In altri termini, il corpo “mima” empaticamente le azioni ed emozioni espresse da terzi come se fosse proprio uno specchio. 

Si attivano per imitazione, suggerisce Rizzolatti. Per esempio se osserviamo qualcuno compiere un’azione si attivano in noi le stesse aree cerebrali necessarie per compiere quel gesto anche se nella realtà non lo stiamo effettivamente compiendo.

Tenendo conto delle “sovrastrutture cognitive” di attribuzione di carattere esperenziale e personale della fruizione, risulta interessante sottolineare come quindi vi sia una componente universale legata al potere dell’immagine in quanto tale. 

Così la connotazione estetica di un quadro, un affresco o una scultura derivano, in parte, dal tipo di risonanza emozionale incarnata, della simulazione di azioni, sensazioni ed emozioni che evocano in noi.

Il gruppo di scienziati del dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma, per mettere luce il rapporto tra arte e scienza ha preso in esame un gruppo di soggetti mostrando loro delle immagini di opere d’arte classiche greche, di cui una parte modificate grazie ad un algoritmo specifico. 

Utilizzando la risonanza magnetica funzionale, gli studiosi, hanno riscontrato come nel cervello umano esista una sincronia fra azione e osservazione, mostrando come le opere originarie attivassero maggiormente il cervello, in particolar modo le aree emozionali, sede dei neuroni specchio dell’empatia.

In conclusione, è possibile osservare come  l’arte renda più forte l’empatia di chi la guarda, mettendo in moto processi imitativi. Utilizzando le parole di Rizzolatti “la bellezza genera altra bellezza”.

Del rapporto tra arte e scienza si discute sin da tempi remoti. Già nell’800, il filosofo Vischer sosteneva che la fruizione estetica delle immagini e dell’opera d’arte, implicasse un coinvolgimento empatico traducibile in reazioni fisiche nel corpo dello spettatore: particolari forme osservate susciterebbero emozioni reattive, a seconda della loro conformità al disegno e alla funzione dei muscoli corporei. 

Gallese e Freiedberg avanzano una ulteriore interessante ipotesi che metterebbe in luce quanto riportato sin ora: anche quando l’opera d’arte è astratta, dunque priva di contenuti formali, i gesti dell’artista nella produzione della stessa, inducono il coinvolgimento empatico dell’osservatore, attivando il programma motorio corrispondente al gesto evocato nel tratto o segno artistico. I segni sul dipinto o sulla scultura rappresenterebbero, dunque, le conseguenze degli atti motori attuati dall’artista nella creazione dell’opera. Ed è proprio per questa ragione che essi sono in grado di attivare le relative rappresentazioni motorie nel cervello dell’osservatore.

Il valore di un’opera d’arte consisterebbe nella capacità di stabilire un rapporto tra la progettualità intenzionale dell’artista e la ricostruzione di tale progettualità da parte dello spettatore, in questo modo si viene a stabilire la relazione diretta che intercorre tra creazione e fruizione” (Gallese, 2010).

 

 

 

Riferimenti Bibliografici:

-Kandel, E. R. (2012). L’età dell’inconscio: Arte, mente e cervello dalla grande Vienna ai nostri giorni. Raffaello Cortina.

-Gallese, V. (2010). Corpo e azione nell’esperienza estetica. Una prospettiva neuroscientifica. postfazione a Ugo Morelli, Mente e Bellezza. Mente relazionale, arte, creatività e innovazione, Torino, Umberto Allemandi.

Freedberg, D. A. (2009). Immagini e risposta emotiva: la prospettiva neuroscientifica.

-Di Dio, C., Macaluso, E., & Rizzolatti, G. (2011). La bellezza aurea. Risposta cerebrale alle sculture classiche e rinascimentali. PsicoArt–Rivista on line di arte e psicologia, 1(1).